I Pastori - una poesia di Gabriele D'Annunzio
I
Pastori
Settembre,
andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han
bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga né cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.
E vanno
pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
Ora
lungh’esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquio, calpestio, dolci romori.
Ah
perché non son io cò miei pastori?
Poesia di Gabriele
D’Annunzio tratta dalla raccolta Alcyone del 1903.
Ogni poesia ha tanti significati:
1) uno, il principale, dell'autore che scrive i versi.
2) tanti altri, quanti sono i lettori che leggono la poesia.
Si deduce che la poesia rappresenti una terrazza affacciata su tanti
mondi.
Ogni lettore è un mondo a sè: è influenzato dalla diversa conoscenza
dell'autore, del periodo, della sua vita, ma anche dalle proprie conoscenze, e
dalle proprie emozioni.
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